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GIUSEPPE DI BENEDETTO

Utopia e attualità degli insediamenti rurali di nuova fondazione

Abstract

Se vi è un paradigma connotativo dello stesso divenire della Sicilia, è quello riconoscibile in taluni processi insediativi territoriali mai portati a compimento, in virtù di quel valore distintivo di exemplum che non necessita di ulteriori e conclusive dimostrazioni. Il corso della storia, del resto, ha spesso imposto il ciclico riproporsi di destini interrotti in virtù di una ideale, spesso insana, aspirazione ad una eterna palingenesi, resurrezione dopo la morte. Il sistema dei borghi, sottoborghi rurali e delle case coloniche realizzati a partire dagli anni ’40 del Novecento su iniziativa dell’ECLS (Ente per la Colonizzazione del Latifondo Siciliano) costituisce, in tal senso, un esempio dai risvolti paradigmatici per la contrapposta dimensione di chimerica idealità di attuazione iniziale e possibile odierna concreta realizzazione. I nuovi “borghi” siciliani, oggi in gran parte abbandonati e degradati, benché costituiscano un fallimento sul nascere di un anacronistico modello di sviluppo sociale, produttivo e ambientale, rivelano, in molti casi, un’interessante proposizione del rapporto tra modernità e tradizione. Il processo di ‘ruralizzazione’ del territorio nasce come demagogica risposta del regime alla crisi economica del 1929, e mira ad interventi strutturali sui movimenti demografici, perseguendo l’idea della necessità vitale dello “sfollamento” delle città, le cui dinamiche economiche erano ritenute incapaci di assorbire la crescente disoccupazione.